Medaglia olimpica: quanto vale

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MEDAGLIA OLIMPICA - Dopo un anno in più di attesa finalmente si sono aperti i giochi olimpici di Tokyo 2020. Atleti provenienti da ogni parte del mondo, anche dalle terre più remote, si sfidano in molteplici discipline per guadagnarsi il titolo di campioni. Alla fine dei giochi olimpici estivi verranno celebrate 339 cerimonie di premiazione con consegna di medaglie. Aggiudicarsi una medaglia vuol dire entrare a far parte dell’olimpo del proprio sport per tutti, per altri vuol dire anche ricavarne vantaggi economici.  Il comitato olimpico internazionale, infatti, non prevede alcuna remunerazione monetaria collegata alla medaglia olimpica, ma alcuni comitati nazionali invece sì. Le differenze fra nazione e nazione sono considerevoli, vediamole insieme.

Ogni nazione attribuisce un valore monetario diverso alla medaglia olimpica

La fiamma Olimpica ha, con un anno di ritardo, illuminato lo stadio di Tokyo e i giochi olimpici hanno finalmente avuto il via ufficiale. Gli atleti si sfidano a colpi di sport in 51 discipline differenti per un totale di 339 eventi che andranno ad assegnare altrettante medaglie d’oro (anche qualcuna in più in caso di parimeriti). Per ognuno di loro salire sul gradino più alto del podio vuol dire realizzare il sogno di una vita rincorso a suon di sacrifici e rinunce, con forse alcune gioie raccolte lungo il percorso, ma nessuna paragonabile. Per alcuni di loro però ricevere una medaglia però vuol dire anche ricevere una ricompensa monetaria.

Una ricerca del National Olympic Committees ha rivelato che un atleta di Singapore che si aggiudica una medaglia riceverà 620.627€ per l’oro, 310.735€ per l’argento e 154.946 per il bronzo. Queste cifre sono tassate e ogni medagliato che le riceve è tenuto a restituirne una parte alle associazioni sportive nazionali. Anche i premi in denaro che ricevono i medagliati italiani sono tassani e del 42% addirittura, poiché le cifre indicate sono al lordo. Il CONI, inoltre, si aggiudica il quarto posto mondiale per ricompense in denaro con 179.367€ per l’oro, 90.105€ per l’argento e 59.789€ per il bronzo.

Non tutti i ricavi di una medaglia vengono però dai comitati olimpici nazionali. Per molti atleti, specialmente coloro che praticano uno sport più famoso, come calcio, basket e nuoto, possono fare affidamento anche sugli sponsor. Questi ultimi però spesso vengono garantiti dai comitati olimpici stessi, come nel caso di Norvegia, Gran Bretagna e Svezia, che tramite associazioni ad hoc garantiscono incassi diluiti in anni sotto forma di sponsorizzazioni, investimenti e incentivi finanziari.

La situazione italiana

Le cifre che oggi il CONI promette ai medagliati italiani non sono le stesse che dava nelle quattro edizioni di Giochi precedenti. A spiegare il perché è lo stesso presidente Malagò.

"Su idea di Carlo Mornati, che ho volentieri recepito, la Giunta ha deliberato che, dopo quattro Olimpiadi in cui sono rimasti inalterati, aumenteremo i premi del 20% lordo, da 50 mila a 60 mila euro per il bronzo, da 75 mila a 90 mila per l’argento, da 150 mila a 180 mila per l’oro. Un atto dovuto verso gli atleti che in questo anno hanno fatto tanti sacrifici".

I sacrifici gli atleti olimpionici però non li hanno fatti solo nel corso di questi anni ma durante tutta la strada per arrivare fino a qui. Praticamente tutti gli sport presenti ai Giochi Olimpici non sono riconosciuti come professionisti. Ricevere uno stipendio diventa così molto complicato. Per potersi mantenere praticando sport la maggior parte degli atleti italiani deve entrare a far parte di un gruppo delle forze armate o di Stato. Ad accoglierli e stipendiare ci pensano ad esempio Fiamme Oro (Polizia di Stato), Fiamme Gialle (Guardia di Finanza), ma anche l’Esercito e l’Aeronautica, per citarne alcune. All’interno di queste realtà gli atleti vengono pagati in base al proprio grado. Le cifre di partenza possono aumentare o salendo di grado oppure riuscendo ad ottenere proprio dei riconoscimenti sportivi importanti.

Oltre i successi ottenuti a fare la differenza maggiore sono le sponsorizzazione e in questo caso a rimetterci sono gli atleti delle cosiddette discipline minori, i quali hanno solo le Olimpiadi per risplendere e che spesso sono quelli che ci regalano le gioie più grandi.

Nessuna ricompensa è più grande della realizzazione di un sogno

Vincere una medaglia ai Giochi Olimpici è un sogno che tutti abbiamo nel cassetto, anche chi non ha mai praticato uno sport. Ogni volta che un nostro connazionale sale sul podio, specialmente se su quello più alto, è un po’ come se ci fossimo anche noi a condividere quella gloria. Se noi, seduti comodamente davanti alla tv possiamo provare questo tripudio di emozioni figuratevi cosa possono provare loro e quanto possano sentirsi appagati per tutti i sacrifici che hanno dovuto affrontare nel corso delle loro vite. Nessuna ricompensa monetaria, grande o piccola che sia, potrà valere più della soddisfazione di vedere le proprie fatiche ripagate.

Recovery Plan - Speranze o Certezze?

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RECOVERY PLAN - Speranze o certezze? - Il Bel paese sta ancora cercando di trovare la sua via di fuga dalla pesante crisi economica dovuta alla pandemia di covid-19. A tal proposito entra in gioco il Recovery Plan che in questo articolo viene spiegato dall'esperto del settore economico  Marco Ginanneschi.

Recovery Plan - Speranze o Certezze?

Finora l'unica certezza che abbiamo sul Recovery Plan è la somma delle risorse disponibili pari a 248 miliardi di euro per l'Italia, ma occorre fare chiarezza innanzitutto sui termini dei vari piani e programmi che altrimenti risulterebbero sinonimi, senza evidenziare le differenze di specie che non sono solo tecnicismi ma che aiutano a capire l'ampio panorama di risorse disponibili.

Il Recovery Plan riguarda il complesso dei progetti, comprensivi di quelli previsti dal Next Generation EU che ha la fetta maggiore con 235 miliardi ed un orizzonte temporale di utilizzo fino al 2026 ed è composto per 191 miliardi dal Recovery and Resilience Facility (RFF), per 31 miliardi dal Fondo Complementare e per 13 miliardi dal programma React-EU.

La fetta più importante di questi fondi è data dai quasi 70 miliardi di sovvenzioni, senza trascurare ovviamente l'importanza di tutta la parte restante che costituisce l'importo dei prestiti agevolati.

PNRR: Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza

Il PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) è articolato in 6 missioni principali:

  1. digitalizzazione, innovazione, competitività e cultura
  2. rivoluzione verde e transizione ecologica
  3. mobilità sostenibile
  4. istruzione e ricerca
  5. inclusione sociale
  6. Salute 

Per il resto, per chi vuole approfondire la struttura del piano, su tutti i siti governativi abbiamo una eccellente, ma forse non altrettanto convincente, descrizione delle necessità e degli obiettivi da raggiungere, in modo minuzioso ma comprensibile.

Chi potrebbe non essere d'accordo sulle analisi di contesto nelle prime pagine? Vengono forniti con dovizia di particolari le percentuali, le statistiche e i trend sullo stato di salute (o forse sullo stato di malattia) dell'economia del nostro Paese, dell'impoverimento della popolazione, della contrazione del PIL, dell'aumento del debito pubblico, dell'aumento della disoccupazione e tutti gli altri elementi che ci fanno ancora di più ingolosire sull'opportunità, unica nel suo genere, che abbiamo per risollevarci.

Recovery Plan: solo speranze?

Il pericolo è che diventi una ciambella di salvataggio dove aggrappandoci con tutta la forza che abbiamo, rischiamo di precipitare a fondo perché siamo scomposti nei movimenti e nelle azioni. Ecco allora ancor di più la necessità non solo di capire dove intervenire, ma soprattutto le modalità che devono essere utilizzate per un coordinamento sistemico di tutto l'impianto amministrativo che deve rimettersi in moto con la semplificazione delle procedure, che non allentano ovviamente le normative di verifica, ma che ottimizzano i processi autorizzativi per istruttorie più veloci e snelle.

La speranza di tutti è di poter ripartire costruendo basi solide su cui far atterrare i progetti descritti nel PNRR presentato dall'Italia e non rischiare che possa rimanere solo il "libro dei sogni" non realizzato.

In questi ultimi giorni assistiamo allo scontro politico nel dilemma: riforme ora o riforme ad un prossimo governo politico?

Ancora una volta la miopia della classe politica ci sta portando all'autodistruzione, come dimostrato dall'andamento del PIL italiano degli ultimi venti anni pre-covid rispetto agli altri paesi europei. E' proprio questo che non funziona! Siamo un paese diviso che non riesce ad essere unito nemmeno nelle situazioni emergenziali, quando si rischia di perdere tempo sul colore della pettorina da indossare quando la gara è già cominciata e tutti gli altri stanno correndo.

Recovery Plan: alcune osservazioni

Una sola considerazione: possibile che quando si parla di riforme occorre parlare di fare tutto insieme? Fisco, giustizia, sanità, scuola, politiche sociali, sappiamo benissimo di essere indietro su tutto ma se cominciamo a voler fare tutto insieme si rischia come al solito di non far nulla.

In questo momento occorre solo metter mano sulla semplificazione amministrativa e sul codice dei contratti pubblici (che molti amano chiamare, in gergo poco tecnico, codice degli appalti) se vogliamo utilizzare in maniera efficace ma soprattutto efficiente i fondi che sono stati stanziati.

La speranza di tutti è di poter ripartire costruendo basi solide su cui far atterrare i progetti descritti nel PNRR presentato dall'Italia e non rischiare che possa rimanere solo il "libro dei sogni" non realizzato.Per approfondimenti riguardo al mondo del lavoro, clicca qui

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Aiuti di stato: davvero utili?

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AIUTI DI STATO - Maggio 2021: la crisi economica dovuta alla pandemia di covid-19 imperversa globalmente affligendo ancora il bel paese che cerca con tutte le sue forze di rialzarsi. Ad affrontare la delicata questione degli aiuti di stato e dei sussidi abbiamo un esperto del settore economico:  Marco Ginanneschi.Le politiche economiche nel corso del tempo hanno degli impatti spesso molto diversi da quelli auspicati dagli interventi legislativi perché le variabili sono molte e non sono prevedibili i tempi e le risposte del mercato, con la manifestazione, molto spesso, di effetti distorsivi che possono ridurre drasticamente i benefici attesi.

Il nodo cruciale degli ultimi mesi della pandemia, tra “potenze di fuoco” e le versioni infinite dei “decreti ristori”, oltre alla affannosa corsa all’aggiornamento in tempo reale, a carico di professionisti del settore e imprese, sta creando gli effetti desiderati per ridurre i danni sull’economia reale?

La sfida è appena cominciata: riusciremo ad utilizzare in maniera adeguata e trasparente oltre 220 miliardi di euro in 6 anni, quando nell’ultimo settennato di programmazione 2014-2020 abbiamo speso neanche la metà di circa 48 miliardi?

Il mondo produttivo sembra affondare sempre di più nelle sabbie mobili della burocrazia che prolunga i tempi di attesa dei sussidi, finora visti come l’unica boccata di ossigeno per la sopravvivenza aziendale. Probabilmente dimentichiamo troppo spesso che per l’azienda non è sufficiente la sopravvivenza, quanto il “going concern” che dovrebbe avere basi solide per proiettare sviluppo e crescita.

Aiuti di stato: misure emergenziali

La visione prospettica risulta appiattita, gran parte degli imprenditori sono costretti a rincorrere le misure emergenziali che stanno facendo piegare la testa sulle esigenze primarie e contingenti togliendo lo spazio necessario alla programmazione di una strategia anche solo di medio termine.

Gli aiuti di Stato, erogati a pioggia e in maniera confusa sembrerebbero prolungare delle agonie già iniziate in epoca pre-covid, in quanto la nostra memoria, troppo spesso di breve termine, sembra aver oscurato il fatto che abbiamo avuto quasi un decennio di crescita attorno allo zero del nostro PIL.

Se guardiamo alla capacità di spesa dei fondi europei troviamo la vera risposta: l’Italia nel ventennio preCovid preso in considerazione è al penultimo posto in Europa sulla capacità di spesa dei fondi assegnati e per giunta troppo spesso impiegati su progetti che non hanno causato benefici economici attesi di medio-lungo termine.

Se l’obiettivo è quello della sopravvivenza allora le misure adottate possono essere condivisibili, ma se abbiamo la capacità di guardare verso un orizzonte diverso allora occorre rilanciare le infrastrutture energetiche, lo sviluppo tecnologico, la salvaguardia per l’ambiente e soprattutto le politiche per adeguate tutele sociali.

Queste sono tutte macrotematiche presenti nel documento presentato in UE per i fondi Next Generation che potrebbero provocare in Italia un “secondo rinascimento”.

La sfida è appena cominciata: riusciremo ad utilizzare in maniera adeguata e trasparente oltre 220 miliardi di euro in 6 anni, quando nell’ultimo settennato di programmazione 2014-2020 abbiamo speso neanche la metà di circa 48 miliardi?

Parola d’ordine: sburocratizzazione

Velocemente occorre sburocratizzare i tempi di risposta delle PA attraverso procedure più snelle e trasparenti con una revisione anche del codice dei contratti pubblici che dovrebbe almeno avvicinarsi a criteri di funzionamento degli altri paesi europei più virtuosi.

Perché dal 1999 al 2019 l’Italia ha una crescita del PIL inferiore all’8%, quando Spagna, Francia, Inghilterra e Germania hanno raggiunto una crescita tra il 32 e il 43%?

Se guardiamo alla capacità di spesa dei fondi europei troviamo la vera risposta: l’Italia nel ventennio preCovid preso in considerazione è al penultimo posto in Europa sulla capacità di spesa dei fondi assegnati e per giunta troppo spesso impiegati su progetti che non hanno causato benefici economici attesi di medio-lungo termine.

La strada maestra quindi è una efficace programmazione coinvolgendo gli stakeholders sul territorio attraverso brevi e incisive fasi di pubblica consultazione, una attenta verifica sullo stato di avanzamento dei progetti ed infine una puntuale rendicontazione delle risorse utilizzate, diversamente rischieremo di avere in mano una potente fuoriserie senza le istruzioni d’uso per la guida. Per non sbandare alla prima curva, questo periodo di preparazione sarà fondamentale per testare tutte le competenze che possiamo mettere in campo.

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Strumenti innovativi nelle governance delle PMI

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Strumenti innovativi nelle governance delle PMI - In questo articolo Marco Ginanneschi, Dottore Commercialista, Revisore legale, e docente nel Corso di Laurea in Business Management alla Link Campus University, affronta l'argomento dell'innovazione nelle governance delle Piccole Medie Imprese.

Strumenti innovativi nelle governance delle PMI

Quando si parla di Governance si pensa sempre ai modelli delle grandi Holding multinazionali o alle SpA, mentre in realtà il concetto è molto più ampio ed interessa soprattutto le PMI che vogliono raggiungere una gestione virtuosa della propria azienda.

Il primo grande scoglio per i piccoli imprenditori italiani che sono al timone della propria azienda e la identificano con la propria persona, è quello di avere diffidenza nell'immaginare la separazione tra la proprietà della società e la sua gestione.

L'attuale emergenza economica evidenzia in misura sempre più forte la necessità di ricorrere ad interventi mirati e specialistici che siano in grado di andare incontro non solo ad una innovazione di prodotto quanto ad una innovazione nei processi e negli approcci gestionali ormai profondamente diversi dagli schemi finora utilizzati.

Un grande imprenditore non sempre riesce ad essere anche un grande manager, in quanto sono ruoli ben distinti che nascono da una formazione diversa e sempre più specialistica.
L'intuito e le grandi idee dell'imprenditore non coincidono con i requisiti di una strategia di mercato o di valutazione dei rischi che sono prerogative dei manager d'azienda.

La particolarità delle società di capitali è proprio quello di essere degli autonomi soggetti giuridici che consentono di realizzare l’oggetto sociale dei soci che le hanno costituite. Molte società, infatti, sono amministrate da soggetti diversi rispetto ai soci, ai quali restano, comunque doveri e poteri di controllo sulla gestione.

Sistemi di governance

Proprio per suddividere la proprietà dal controllo delle società, nascono i sistemi di Governance. Per quanto riguarda le PMI i principi di Governance devono essere una fonte di ausilio ai costi che una struttura organizzata e strutturata comporta per i principi di efficacia e di efficienza nelle gestione delle risorse di capitale umano e capitale finanziario.

A tal proposito la tecnologia ci consente di minimizzare i costi aumentando il livello di sicurezza aziendale attraverso la creazione o l'implementazione di un adeguato sistema di controllo interno, che deve essere basato su controlli di primo livello e la formalizzazione della loro struttura, la segregazione delle responsabilità, la tracciabilità dei dati e delle informazioni (con l'introduzione e l'utilizzo della blockchain), la verifica del raggiungimento dei KPI (Key Performance Indicator), e una adeguata informativa economica-patrimoniale e finanziaria con cadenza almeno trimestrale.

L’importanza degli strumenti innovativi

Nell'era della crisi pandemica è sotto gli occhi di tutti l'importanza di adottare strumenti innovativi anche di livello comunicativo che permettono un'informazione costante e periodica da parte del consiglio di amministrazione a tutti i soci tramite l'utilizzo di una reportistica specifica, di fondamentale importanza per la prevenzione e l'eventuale gestione dei conflitti di interesse tra la proprietà e la dirigenza.

L'attuale emergenza economica evidenzia in misura sempre più forte la necessità di ricorrere ad interventi mirati e specialistici che siano in grado di andare incontro non solo ad una innovazione di prodotto quanto ad una innovazione nei processi e negli approcci gestionali ormai profondamente diversi dagli schemi finora utilizzati.Per approfondimenti riguardo alla situazione economica italiana cliccare qui.

BioNTech, titolo in rialzo dopo l'annuncio di un aumento della produzione

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BIONTECH TITOLO RIALZO -  Il Coronavirus sta flagellando tutto il mondo da più di un anno ormai. Finalmente però si comincia ad intravedere una luce in fondo al tunnel grazie ai vaccini. La campagna vaccinale sta procedendo in tutto il mondo, ma purtroppo non linearmente e velocemente come ci si auspicava. I problemi con le cause farmaceutiche sono infatti molti e si ripercuotono sui cittadini di quasi tutto il mondo.

BioNTech annuncia un aumento nella produzione

All’avvio della campagna vaccinale sono stati stipulati degli accordi tra le nazioni e le cause farmaceutiche per assicurarsi le dosi necessarie per i propri cittadini. Visto com'è andata la situazione, già poche settimane dopo l’arrivo delle prime dosi forse qualcuno è stato troppo ottimistico. Infatti fin da subito, praticamente tutte le case di produzione di vaccini hanno annunciato di non riuscire a soddisfare gli accordi. Un po’ per volta sono cominciate ad arrivare meno dosi del previsto e la campagna vaccinale ha subito forti rallentamenti. I governi però non ci sono stati e hanno cercato in tutti i modi di far rispettare gli ordini, con successi risicati.

Fino a poco fa sembrava che più si andava avanti più le cause farmaceutiche continuassero ad annunciare ritardi e tagli alle produzioni fino a che non è arrivata la notizia da parte di BioNTech. L’azienda tedesca, con sede a Cambridge, Massachusetts, andando in controtendenza, ha annunciato un aumento nella produzione e distribuzione di vaccini.

BioNTech, titolo in rialzo dopo l'annuncio

Precedentemente la casa farmaceutica tedesca aveva affermato di riuscire a coprire una produzione tra i 2,3 miliardi e 2,4 miliardi di dosi. Oggi invece ha asserito di riuscire a soddisfare una produzione di 2,5 miliardi di dosi entro la fine del 2021. Quotata sul Nasdaq e a Francoforte, BioNTech ha visto un rialzo del titolo del +5% a Wall Street subito dopo la notizia. La stessa cosa però non è successa per il titolo di Pfizer, azienda americana con cui BioNTech collabora alla produzione del vaccino, il cui titolo rimane stabile.

Ancora buone notizie

La notizia del rialzo del target produttivo di BioNTech si inserisce in un gruppo di altre buone notizie. Infatti, uno studio effettuato su quasi 4.000 operatori sanitari, primi soccorritori e operatori di prima linea che avevano ricevuto solamente la prima dose di vaccino Pfizer o Moderna, ha rilevato un efficacia del 80% nel prevenire l’infezione. Dato che è salito al 90% sui soggetti che avevano ricevuto anche la seconda.

Per quanto riguarda il vaccino Astrazeneca i guai che lo perseguitano, e la paura che ne deriva non finiscono mai. Dopo lo stop totale alla sua somministrazione in quasi tutti i paesi europei adesso in molti stati si torna ad imporre limiti di età alla somministrazione. Per esempio in Germania è stato annunciato che il vaccino Astrazeneca verrà somministrato solamente alle persone con più di 60 anni. La leader Merkel afferma che è una decisione presa per aumentare la fiducia dei cittadini verso questo vaccino, infatti dice:

«La fiducia nasce dalla consapevolezza che ogni sospetto, ogni singolo caso viene preso in considerazione»

Economia italiana: parla Marco Ginanneschi

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ECONOMIA ITALIANA MARZO 2021 - In un clima di crisi globale dovuta alla pandemia di covid-19, l'Italia sta cercando di rialzarsi attraverso nuove riforme. Una grave crisi di governo ha caratterizzato la politica italiana e influenzato l'economia del bel paese, lasciando spazio a riflessioni su quella che è la situazione attuale. Ad affrontare la questione abbiamo un esperto del settore economico:  Marco Ginanneschi.Dottore Commercialista, Revisore legale, e docente nel Corso di Laurea in Business Management alla Link Campus University.

Per la sua notevole esperienza aziendale, come innovation manager nel mondo economico, ci rivolgiamo a lui in questa intervista con lo scopo di analizzare la situazione dell’economia italiana, afflitta dalla crisi dovuta alla pandemia globale, ponendo l’attenzione sui cambiamenti di governo e le nuove riforme.

Attualmente l'Italia sta attraversando un periodo di crisi persistente al quale si cerca di trovare una soluzione che sembra ancora non arrivare. Da un punto di vista economico, pensa che si stiano mettendo le basi per una ripartenza economica adeguata?

Per superare la più grande crisi economica dal dopoguerra a oggi, occorre porre le basi per ricominciare a ricostruire un Paese su criteri totalmente diversi, da un lato con una forte sburocratizzazione, che non significa un allentamento delle regole o delle attività di controllo, quanto invece una rapida e flessibile evoluzione delle procedure che possano ridurre i tempi decisionali con interventi mirati alle necessità contingenti, dall’altro un forte impulso sulle attività di rinnovamento delle infrastrutture strategiche che consentirebbero un rilancio produttivo immediato di cui beneficerebbero in pratica tutti i settori.

Sarebbe necessario rivedere il codice dei contratti pubblici ed immaginare dei tempi decisamente diversi per le varie fasi procedurali per l’aggiudicazione di un appalto pubblico e dei relativi tempi di realizzazione. L’esempio che il “miracolo italiano” può avvenire lo abbiamo già avuto, e non mi riferisco al boom economico degli anni sessanta, quanto piuttosto al Ponte di Genova che è stato progettato, realizzato e collaudato in meno di due anni dal crollo. Per un buon funzionamento della macchina amministrativa non è necessario agire in deroga alle regole con la nomina del Commissario Straordinario di turno, quanto la capacità di riscrivere nuove regole che siano al passo con la velocità dell’economia alla quale siamo abituati oggi.

Il peso della burocrazia, secondo uno studio in epoca pre-covid di Assolombarda, fa perdere almeno quattro punti di fatturato alle aziende, e la riduzione di un simile carico sarebbe ancor più benefico rispetto ad una pari riduzione percentuale dell’attuale carico fiscale.

Per ultimo basta immaginare, nonostante i decreti emergenziali, l’attesa di molti mesi per le aziende che hanno beneficiato dei ristori o dei tempi lunghi per ricevere la cassa integrazione per i lavoratori che rappresentano la categoria che merita una maggiore tutela sociale.

Con la crisi di governo di gennaio che ha portato alle dimissioni dell’ormai ex premier Conte e l’insediamento del nuovo governo Draghi, secondo Lei ci sono state ripercussioni economiche che hanno aggravato ulteriormente la situazione economica già precaria?

L’economia italiana, che già ha attraversato un ridimensionamento dal 2009 in poi, con crescita del PIL annuale di qualche frazione di punto decimale oltre lo zero, ha subito uno shock dovuto alla pandemia che ha ridimensionato gravemente interi settori produttivi, i quali effetti purtroppo, saranno visibili solo nei prossimi mesi quando cesserà lo stop ai licenziamenti e si faranno i conti definitivi dei posti di lavoro persi.

Non credo sia un problema politico, ma un problema di competenze e l’esperienza degli ultimi anni ci insegna che l’onestà è un prerequisito irrinunciabile alla quale deve essere necessariamente abbinata una grande capacità di visione strategica e di conoscenza degli effetti che può causate ciascun intervento normativo.

Siamo abituati infatti ad una bulimica produzione normativa alla quale non corrisponde spesso l’efficacia desiderata e questo denota l’ignoranza (nel senso latino del termine) delle complesse dinamiche dell’economia italiana.

Ovviamente l’attuale governo è composto, almeno per le “caselle strategiche” riguardanti l’economia, da referenziatissimi professionisti di fama internazionale e la speranza è che ci siano finalmente interventi coraggiosi e risolutivi per affrontare una situazione non solo emergenziale, ma di vera e propria ricostruzione.

Si è parlato molto dei bonus istituiti nei mesi passati, spesso criticati perché non sufficienti a coprire i mancati guadagni dei lavoratori. Pensa che questo tipo di strumento economico sia uno strumento efficace oppure crede che sia necessario implementarlo?

I bonus dei mesi passati sono stati importanti per tamponare una situazione imprevista, della quale non si potevano conoscere, almeno nella fase iniziale, tempi ed effetti.

Con il passare del tempo si è presa consapevolezza che occorrono interventi strutturali, dopo un primo soccorso per tenere in vita le speranze di una ripresa, ci si aspettano delle soluzioni diverse. I benefici a pioggia non sono sufficienti e soprattutto rischiano con il tempo di essere dispersivi e di creare anche degli effetti distorsivi nel libero mercato.

La ripartenza parte dalla progettazione di un nuovo modo di lavorare, non solo con lo smart working ma di una logica che consenta di fare “nuove economie” sugli spazi dedicati al lavoro (almeno nella categoria dei servizi), sull’energia, sui trasporti, che generano automaticamente nuove modalità di consumo e liberano ulteriore capacità reddituale.

Non è un caso che i risparmi nel 2020 siano aumentati in termini assoluti e questo è un indice che va in controtendenza rispetto alla disastrosa situazione economica.

Ci potrebbero essere quindi nuove premesse per rilanciare gli investimenti da parte dei privati che al momento risultano più timidi per la situazione di incertezza che si è creata.

I nuovi investimenti dovranno sostenere inevitabilmente la digitalizzazione, l’industria 4.0, l’automazione industriale, la robotica, la blockchain, l’intelligenza artificiale e le nuove reti di comunicazione.

Cosa ne pensa del Next Generation Eu?

L’Italia ha un’occasione unica nella storia dai tempi del Piano Marshall.

Il 2021 ha una particolare “congiuntura astrale” dovuta all’inizio della nuova agenda di programmazione 2021-2027 e dai fondi per il Next Generation Eu.

I prossimi mesi saranno determinanti per posizionare strategicamente nei capitoli di spesa le risorse disponibili. Anche i più convinti antieuropeisti forse stanno maturando l’idea che, se non ci fosse un sostegno sovranazionale sarebbe molto difficile uscire con le proprie forze da una crisi di dimensioni mondiali.

I nuovi investimenti dovranno sostenere inevitabilmente la digitalizzazione, l’industria 4.0, l’automazione industriale, la robotica, la blockchain, l’intelligenza artificiale e le nuove reti di comunicazione.

Abbiamo a portata di mano l’opportunità di un secondo Rinascimento, solo se le capacità di utilizzare i fondi non seguano gli esempi degli anni passati, dove l’Italia risulta essere tra i paesi europei con il più scarso utilizzo; un dato su tutti: nella programmazione 2014-2020, ormai prossima alla chiusura, su circa 48 miliardi disponibili, sono stati effettivamente spesi circa la metà e questo denota quante occasioni nel corso degli anni abbiamo perso. Solo sul Recovery Fund, la quota spettante all’Italia è di 209 miliardi e per avere la capacità di spesa occorre prima di tutto avere un piano di intervento per gli investimenti strategici e preliminarmente riscrivere le regole per la sburocratizzazione delle procedure nelle quali siamo purtroppo inevitabilmente intrappolati.

In relazione al Next Generation Eu, secondo Lei, quali potrebbero essere i punti su cui si concentrerà l’Italia con la prima scadenza del 30 aprile 2021?

Gli obiettivi del Next Generation EU ormai cominciano a delinearsi in contorni sempre più precisi e le aree di intervento per l’Italia saranno quelle della crescita sostenibile, con un nuovo approccio sul digitale, una nuova efficienza nella produttività nel rispetto dell’ecologia, lo sviluppo delle smart city, l’incentivazione della circular economy con l’adeguamento dei sistemi di gestione delle risorse, il riutilizzo delle materie prime, la riconversione industriale con criteri tecnologici. La ricetta vincente sarà quella di saper coniugare nuovi modelli lavorativi con l’attenzione al sociale e al rispetto delle regole per nuovi scenari di vita che si profilano all’orizzonte.

Pensa che l'Italia possa riuscire ad avere una minima ripresa dell’economia nei mesi a venire?

Nel breve termine purtroppo non sembrano esserci segnali incoraggianti, almeno fino all’arrivo dei mesi estivi. La speranza è che l’efficacia delle politiche sanitarie messe in campo, possa dare entro fine anno i suoi frutti, ma in molti casi il modello di lavoro che avevamo in epoca pre covid non sarà più lo stesso.

Alcuni pensano che sia solo un black-out e che al termine della pandemia tutto tornerà come prima, ma in realtà, ad oltre un anno di distanza, occorrerà trarre tirare le conclusioni ed intercettare nuove opportunità in un mondo economico in rapido cambiamento che non lascia spazio a nostalgie di un passato che ormai diventerà storia e non più attualità.

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