SBLOCCO LICENZIAMENTI - Durante la crisi pandemica sono state messe in atto numerose manovre al fine di tutelare i lavoratori. Molte hanno avuto successo, molte altre sono state un vero flop. Vale anche per il blocco dei licenziamenti, che adesso è giunto al capolinea. Ma si poteva parlare prima di un vero e proprio blocco? Ed è giusto parlare adesso di sblocco dei licenziamenti? Analizziamo insieme la questione.
Il Decreto Cura Italia ha vietato tutti i licenziamenti individuali e sospese le procedure di licenziamento collettivo, fin dall’inizio della pandemia. Esso è giunto in soccorso alle imprese e ai lavoratori insieme ad altre numerose azioni, tra cui gli ammortizzatori sociali.
Dall’inizio della crisi a oggi però il blocco dei licenziamenti è stato visto, rivisto e prorogato più volte. Infatti inizialemente era stato previsto per soli 60 giorni, quindi con scadenza ad Aprile 2020, in realtà si è protatto anche per tutto il 2021. Dato il divieto di cessare il rapporto di lavoro è stata pensata una cassa integrazione ad hoc specifica per l’emergenza sanitaria a cui le aziende potevano far ricorso e che imponeva il divieto tassativo di licenziare. In questo modo si è cercato di evitare una catena di licenziamenti collettivi o licenziamenti per giustificato motivo oggettivo.
Ovviamente però da questa categoria sono stati esclusi tutti quei licenziamenti dovuti a motivi non economici o riguardanti l’attività produttiva. Ad esempio:
Nel resto d’Europa il comportamento è stato tendenzialmente diverso. Ci sono stati infatti paesi, come la Germania e il Regno Unito in cui non è stato imposto nessun blocco, e altri che, diversamente dell’Italia hanno sì imposto un blocco, ma per periodi di tempo limitati o sotto condizioni più stringenti, ammonendolo solo ad alcuni casi. L’Italia è stata l’unica nel suo genere.
Durante il mese di giugno, periodo a ridosso del termine fissato nel mese di marzo, il governo ha raggiunto un accordo sullo sblocco dei licenziamenti. Dico raggiunto un accordo perché ovviamente ogni forza politica in campo stava portando avanti idee completamente diverse tra loro. Il comune intento però stato trovato e avrà validità dal 1 Luglio 2021.
Il Decreto Lavoro del 30 giugno 2021, prevede
Sono esentati dal blocco quindi tutti i settori non facenti parte del tessile, del calzaturiero e della moda, e coloro che fino al 31 ottobre 2021 faranno uso degli aiuti statali in materia Covid-19.
Adesso che abbiamo visto le parti tecniche del Decreto Salva Italia e del Decreto Lavoro, vediamone i risultati.
Quest’ultima misura ha creato un ampio dibattito negli ultimi mesi che ruota attorno a una domanda semplice: il divieto di licenziare è una misura equa per tutti i lavoratori e utile per sostenere realmente l’occupazione?
“La risposta si trova nei dati: nel 2020 sono diminuite le cessazioni di lavoro, ma sono anche, e in misura maggiore, diminuite le nuove assunzioni. Nel 2019 ci sono state infatti 6,8 milioni di nuove assunzioni, mentre nel 2020 solo 4,7 milioni. Questo perché il blocco totale dei licenziamenti, oltre a preservare i lavoratori dipendenti, causa anche un irrigidimento del sistema e impedisce ai lavoratori di spostarsi da settori in crisi verso altri più dinamici.
Secondo l’Istat poi, nel 2020 il numero dei lavoratori a tempo determinato è diminuito dell’11% e quello dei lavoratori autonomi quasi del 4%. Questo ha voluto dire che il prezzo più alto della crisi lo hanno pagato i giovani e le donne che rappresentano la maggior parte della forza lavoro precaria di questo Paese. Infatti, il numero di occupati tra 15 e 24 anni è calato del 13%, quelli tra 25 e 34 anni del 5%, mentre il numero delle occupate donne è diminuito del 3%, a fronte dell’1% degli uomini.”
Questo è quanto raccolto da Will_Ita. I dati dimostrano come il blocco ha ostacolato specialmente giovani, donne, lavoratori a termine, autonomi e stagionali. A favorirne nella realtà dei fatti sono stati solo i lavoratori a tempo indeterminato, ma anche loro solo per un tempo limitato
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