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Perché non si trova personale in una crisi da 2,5 milioni di disoccupati?

17 Maggio 2021
- Di
Parvin
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Tempo di lettura: 4 minuti

PERSONALE DISOCCUPATI - Il tasso di disoccupazione in Italia sfiorava già il 10% prima della crisi e le previsioni non sono per nulla rosee. Si stima un incremento di circa 300 mila disoccupati non appena verranno tolti i blocchi dei licenziamenti. Eppure, la maggior parte aziende e dei selezionatori lamentano una forte difficoltà a reperire personale! Perché? Scopriamolo insieme.

Il tasso di disoccupazione è destinato ad aumentare, ma il personale non c’è

Secondo Unioncamere, a partire da dicembre 2020 le richieste di impiego sarebbero di 729.000 unità, dai dirigenti ai tecnici, dagli impiegati fino agli addetti alle pulizie. Ebbene, il 33% (240 mila persone) non si trova! Ne avevo già parlato in un mio articolo del 2019 (https://www.lastampa.it/vercelli/2019/07/24/news/cercansi-meccanici-specializzati-ma-all-appello-non-risponde-nessuno-1.37173715) eppure la situazione non sembra migliorare.

Cerchiamo di sviscerare assieme le motivazioni alla base di questo strano fenomeno.

Innanzitutto, va detto che il mondo del lavoro è profondamente cambiato e la crisi covid non ha fatto altro che accelerare la trasformazione digitale: da Blockbuster siamo passati a YouTube, il classico negozio commerciale è stato rimpiazzato da Amazon, le agenzie viaggi sono state soppiantate dai viaggi online e la TV è stata sostituita da portali come Netflix! Cosa vuol dire questo? Le ore di lavoro operativo sono crollate, lasciando più spazio ad attività differenti, che richiedono di sicuro più formazione specifica, più impegno e più responsabilità. La maggior parte delle persone capiscono il cambiamento ma non accettano che il mondo del lavoro sia mutato alla stessa velocità.

Non c’è personale qualificato tra i disoccupati?

Il primo problema è da identificare sicuramente nell’istruzione: quando a un disoccupato mancano le competenze che il mercato richiede, la formazione fa la differenza. In Italia se ne fa poca, troppo poca: la colpa non è solo da riferirsi ai pochi bandi regionali che si limitano ad erogare una scarsa formazione generica non in linea con ciò che il territorio chiede.

Il problema è anche radicato nella mentalità di gran parte della popolazione: tutti vogliono uno stipendio fisso, ma quasi nessuno è disposto a cambiare, a mettersi in gioco per fare qualcosa di differente.

Dopotutto i significati della parola “lavoro” rappresentano solo concetti negativi: fatica, sforzo, travaglio… Sarebbe sciocco dunque affermare che esistano persone con la voglia di fare fatica, di sforzarsi o di subire un travaglio fisico e mentale. Di questo ne ho già in parte parlato nel mio scorso articolo:

“Molte persone sono rimaste incastrate in un vecchio paradosso socio-economico. Abbandonano i propri sogni e le proprie aspirazioni a favore di ruoli alienanti, stressanti e insignificanti, tutte piccole gabbiette gentilmente offerte dal sistema stesso, dove la gente si incastra a vita in cambio di uno stipendio sicuro a fine mese. Quanti di noi sono veramente disposti a sopportare tutto questo per 40 anni di vita in cambio di una cifra esigua di stipendio entro la fine del mese? E quanti di noi sono veramente pronti a mettersi in gioco per re-inventarsi e qualificarsi per andare a realizzare i propri sogni tramite il lavoro che si ama fare?”

Le politiche sociali non incentivano le possibilità di assunzione per il personale tra i disoccupati

In realtà questo scenario non fa che aumentare le persone che hanno diritto a sussidi. A giugno incassavano la disoccupazione (Naspi) 1,3 milioni di persone, altrettanti sono quelli in grado di lavorare che prendono il reddito di cittadinanza. Oltre ai disoccupati ci sono anche 13,5 milioni di inattivi e scoraggiati, soprattutto giovani che non cercano un posto, convinti di non trovarlo…

In Italia, le politiche del lavoro si sono fatte semplicemente dando soldi ai disoccupati per arrivare a fine mese. Una strada che non risolve niente, perché lo Stato non può erogarli per sempre… e togliere gli incentivi è come sospendere la tachipirina a chi ha l’influenza: poi la febbre ritorna. E nel frattempo restano un sacco di lavoratori inattivi che in qualche modo percepiscono un reddito provvisorio e non si scomodano, né a cercare un lavoro che possa soddisfarli economicamente, né ad investire sulla propria crescita personale per svolgerne uno che possa piacere.

Come uscire dal paradosso dei disoccupati inoccupati?

Allora quale può essere una soluzione per uscire da questo paradosso? Innanzitutto, credo che i cambiamenti importanti arrivino da noi stessi: finché ci metteremo in attesa di una qualche forma di incentivo o politica intelligente da parte dello Stato, non potremo che trovarci travolti dagli eventi catastrofici che stanno cambiando mondo.

Secondariamente dobbiamo approfittare di questo “momento di stallo” per fare un po’ di introspezione e chiederci cosa vogliamo davvero. Troviamo il coraggio di esprimere i nostri sogni e, una volta chiarita quale sia la nostra volontà specifica, attiviamoci per mettere in atto un piano, che parta innanzitutto dalla crescita personale: se vogliamo avere di più, dobbiamo essere disposti ad essere di più!

Infine, vorrei ricordare che non esiste solo il “lavoro tradizionale”. Potremmo ad esempio pensare di arricchirci non andando in cerca di uno stipendio fisso, ma mirando ad una rendita passiva. E questo attuale scenario economico, molto spinto nella digitalizzazione, permette a chiunque di crearsene una, anche partendo da zero. Siamo abituati ad associare alla parola “rendita” investimenti impegnativi come quelli in borsa o in grandi imprese o in immobili. In realtà, questo obiettivo è alla portata di tutti, se pensiamo a tutte le forme di rendita passiva che si possono creare sfruttando internet. Per esempio, sviluppando applicazioni utili e divertenti. Oppure, con la produzione e diffusione di contenuti creativi come libri e musica, fino ad arrivare a forme di business più smart come il network marketing, settore che in Italia è in grande evoluzione, che conta circa 300.000 unità di impiego, un aumento del fatturato del +6.7% nel periodo gennaio-settembre 2020 per un totale che supera i 478 milioni di euro.

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