CLIMA TECNOLOGIA – Lo avresti mai detto che 30 delle mail nella tua casella di posta hanno lo stesso impatto sull’ambiente di una lampadina accesa per 24h? E che l’impronta di carbonio media di un video Netflix di mezz’ora equivale a guidare per circa 100 metri un’auto convenzionale? La tecnologia digitale ha una certa impronta sul clima. Come? Con le emissioni di CO2 che ogni singola azione online produce. Ma questa footprint quanto peso ha? Vediamolo insieme.
Stiamo vivendo l’era della trasformazione digitale. Sul lavoro e nella vita privata la tecnologia sta entrando sempre più prepotentemente nel nostro quotidiano. Spesso la trasformazione digitale viene anche associata alla transizione ecologica, come se le due cose fossero un’unica cosa o viaggiassero di pari passo, essendo la prima uno strumento per raggiungere la seconda. In realtà non è sempre così, perché anche la tecnologia digitale ha una certa impronta sul clima.
Stando a quanto riporta The Shift Project nello studio “Lean ICT – Towards Digital Sobriety” del 2019 tutto il settore ICT produce il 4% delle emissioni di gas serra globali, con un tasso di crescita annua pari al 9%. Quest’ultimo dato non è oggi attendibile, dal momento che con la pandemia l’uso della tecnologia digitale ha subito un forte incremento. Per avere un quadro completo però questi dati andrebbero rapportati con le emissioni prodotte dagli eventi in presenza, sostituiti da quelli virtuale, e che producono un impatto ambientale nettamente maggiore. Secondo un calcolo del Carbon Literacy Project:
“Un impiegato d’ufficio riceve circa 121 email al giorno, tra cui spam, newsletter e bozze, che producono ben 1,6 chilogrammi di CO2. In un anno si calcola che l’impronta di carbonio di un singolo lavoratore si avvicina a quella totale di un abitante dell’India.”
Cerchiamo di contestualizzare i dati di un evento digitale rapportandolo ad un eventi in presenza. Per farlo ci appoggiamo alla ricerca condotta da Punto 3, una società nata nel 2007, specializzata in eventi sostenibili. Stando a quanto riporta il loro studio:
Prendendo come caso una Fiera di 3 giorni (UFI 2019) con 11.600 mq di area allestita, 120 espositori e 11.734 partecipanti si vede che l’impatto complessivo in termini di emissioni di CO2 generate dalla Fiera è pari a 5.922 t di CO2-eq.
Se invece si considera una Fiera Virtuale con 11.734 partecipanti e 120 espositori l’impatto ambientale sarebbe approssimativamente di 58,67 t di CO2-eq (2.4 tonnellate di CO2-eq per ora).
Possiamo quindi affermare che l’impatto dell’evento digitale è di circa 100 volte minore rispetto alla Fiera fisica.”
Agire per migliorare l’impatto ambientale della tecnologia digitale è possibile. La prima cosa da fare è cercare fornitori di energia che utilizzino fonti di energia rinnovabile. Vediamo ad esempio Google che ha compensato il 100% dell’energia consumata annualmente con l’acquisto di energia rinnovabile, portando nella rete circa 6 gigawatt di nuova energia rinnovabile.
Per parlare di azioni più piccole ed immediate, basterebbe cominciare ad eliminare le iscrizioni a newsletter che non ci interessano e cancellare, anche dal cestino, tutte le mail non più necessarie.
Quello che dobbiamo fare è mettere in pratica quello che afferma The Shift Project:
La “sobrietà digitale”: un approccio che mira a ridurre l’impatto ambientale della tecnologia digitale.
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