La riforma del premierato è al centro del dibattito politico italiano, sostenuta con forza dal governo guidato da Giorgia Meloni. Questa proposta di modifica costituzionale mira a ridefinire radicalmente il rapporto tra il potere politico nazionale e gli elettori, rendendo il sistema più diretto e, almeno sulla carta, più rappresentativo. Ma cosa comporterebbe realmente l'introduzione del premierato? Alfonso Celotto, avvocato e professore di Diritto Costituzionale all'Università di Roma Tre, ha recentemente analizzato i pro e i contro di questa riforma ai microfoni di LaPresse.
Il cuore della riforma del premierato risiede nella modifica del ruolo del Presidente della Repubblica e del processo di nomina del Presidente del Consiglio. Attualmente, è prerogativa del Presidente della Repubblica scegliere il capo del governo, come è avvenuto nel 2018, quando Giuseppe Conte è stato nominato nonostante il voto frammentato tra il Movimento 5 Stelle e il centrodestra. Con il premierato, invece, questa scelta verrebbe sottratta al Capo dello Stato e affidata direttamente agli elettori. Il primo Presidente del Consiglio verrebbe così scelto direttamente dal voto popolare, mentre in caso di crisi di governo durante la legislatura, la scelta del nuovo premier dovrebbe avvenire tra i membri della maggioranza parlamentare.
Secondo Celotto, la riforma avrebbe avuto un impatto significativo nel recente passato. Personalità come Mario Draghi, tecnocrate, o lo stesso Giuseppe Conte, non parlamentare, non avrebbero potuto assumere la carica di Presidente del Consiglio sotto il nuovo sistema proposto. La riforma punta infatti a garantire una maggiore rappresentatività, evitando che il governo sia frutto di equilibri politici lontani dalla volontà popolare espressa nelle urne.
Tuttavia, il compromesso tra stabilità e rappresentatività rimane complesso. Dal 2018, l'Italia ha visto una successione di governi di diversa natura politica, spesso frutto di coalizioni e compromessi parlamentari. Il sistema attuale, pur con le sue criticità, consente la formazione di governi anche in situazioni di instabilità, come avvenuto nel 1994 quando, dopo la caduta del governo Berlusconi, si scelse Lamberto Dini come Premier senza tornare alle urne.
Con il premierato, il sistema diventerebbe più simile a quello delle elezioni comunali o regionali, dove la caduta del sindaco o del presidente porta automaticamente a nuove elezioni. Questo potrebbe assicurare una maggiore coerenza tra il governo e la volontà popolare, ma rischierebbe di ridurre la flessibilità del sistema parlamentare, fondamentale per risolvere crisi politiche senza ricorrere sempre a nuove elezioni.
La riforma del premierato rappresenta un tentativo ambizioso di riformare il sistema politico italiano, cercando di bilanciare la necessità di stabilità governativa con una maggiore aderenza alla volontà degli elettori. Tuttavia, come evidenziato da Celotto, il percorso per raggiungere questo equilibrio è tutt'altro che semplice, richiedendo una riflessione profonda sugli effetti che tali cambiamenti potrebbero avere sulla democrazia italiana.